Questo romanzo narra
lo struggente incontro amoroso tra Komako, una geisha e il protagonista Shimamura.
Il titolo è molto emblematico, si riferisce al luogo in cui lavora la geisha
Komako, paradiso termale, dove la neve è
alta quindici piedi, ma allo stesso tempo il titolo richiama la malinconia dei
due protagonisti, che pur amandosi, non riescono mai a dirselo. E’ un
romanzo di efficace impatto emotivo, è nostalgico e malinconico, e si evidenzia
la maestria dello scrittore nella descrizione di queste emozioni, così tanto da
farci credere che i personaggi siano quasi reali, o comunque da farci immedesimare
nelle loro inquietudini e tormenti, pur mantenendo un certo distacco.
I Sentimenti dei protagonisti sono
candidi e delicati come neve, ma allo stesso tempo freddi, silenziosi,
distaccati, nostalgici e incolori come la neve.
Non è un romanzo per tutti, per chi
vuole una trama lineare e sensata, ne rimarrà deluso, dato che i fini del libro
non è quello di giungere ad una conclusione diretta della storia, ma
semplicemente quello di dare massima espressività a quel sentimento chiamato
languore, e in questo senso è molto evocativo anche negli scenari, questa insistente
ed efficace immagine delle neve, sta a voler rappresentare i sentimenti stessi
dei protagonisti, e Kawabata riesce bene
nell’intento, ci trasporta nel paese delle nevi, in cui sentiamo freddo, e
quella neve bianca finisce per gelarci il cuore, come fa con i protagonisti.
Io direi che è un libro particolarmente
invernale e suggestivo, da leggere però sdraiati a letto sotto il caldo
piumone, e preferibilmente con una bella cioccolata bollente, farlo con il
freddo del treno, con la neve che si vede dai finestrini, certo era molto
evocativo ed efficace, dato che anche il romanzo inizia con una scena simile,
però appunto forse troppa immedesimazione, mi ha anche agevolato l’influenza!
Detto questo, giungo alla conclusione
che è uno di quei romanzi di difficile apprezzamento e comprensione per un
occidentale, perché si respira quella distinta sensibilità e delicatezza giapponese,
che difficilmente noi occidentali potremo capire.
Sono infatti certa di non aver colto
pienamente tutte le sfumature significative del romanzo.
Ammetto di aver storto gli occhi,
dinnanzi a un finale per nulla soddisfacente.
Mi ha lasciato un po’ con l’amaro in
bocca, ma credo che questo fosse nell’intento stesso di Kawabata, lasciare per
così dire il lettore in sospeso, con un finale aperto, dato che non era quello
l’aspetto focalizzant
Ma nonostante tutto, non posso far a
meno di riconoscere la bravura e la maestria di Kawabata nel catapultare il
lettore nel paese delle nevi, con descrizioni molto evocative ed espressive.
Rimango dell’idea che valga la pena
leggerlo, almeno una volta nella vita, nonostante sia un libro a tratti
incomprensibile e sfuggente, resta un romanzo che lascia il segno a livello
emozionale e riflessivo. Dopotutto non a caso , Kawabata è stato il primo
giapponese a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 1968.
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