La scrittrice scava in profondità nella sua interiorità e in quella dell' uomo tanto desiderato e amato, scoprendo tutte le loro pecche e imperfezioni di coppia.
Svela e riflette i limiti e la miseria stessa connaturata dall'amore tra uomo e donna, lo analizza e se ne discosta, lo disprezza, lo giudica e allo stesso tempo lo brama con angosciosa malinconia.
Sauvageot minuziosamente rivolge lo sguardo alle sue emozioni, non fugge da esse, ma le affronta, decide di commentarle minuziosamente, di non lasciarsene sfuggire, neanche un brandello, pur di liberarsene e ridurle al niente.
Fa i conti con sé stessa, con la sua malattia contro cui sta lottando con le unghia e con i denti.
Infatti, mentre scriveva Marcelle Sauvageot si trovava dentro un sanatorio, nella speranza di guarire dalla turbecolosi, ed è proprio lei stessa ad accorgersi di essersi aggrappata disperatamente all' amore, per la guarigione e la salvezza, ma, al contempo, è lei stessa a volerlo scansare e annientare, come il più vile dei mali.
Marcelle Sauvageot realizza un monologo emotivo disinvolto e femminista, in cui rivendica sé stessa e i confini entro cui amare un uomo, per salvaguardare la propria autostima, anche prima di morire. Decide piuttosto di fare a meno delle vile consolazione di due braccia maschili, ottenute solo per meschina pietà e compassione.
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